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Italy on line - Firenze Tourist Web Guide - by italia123.it
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Da Repubblica del 19/04/2002
di BENEDETTO FERRARA FIRENZE - Firenze in corteo. Ventimila tifosi, forse di più, con le loro fiaccole, le loro bandiere, i loro canti per la Fiorentina e i loro cori contro Vittorio Cecchi Gori, l'uomo che ha distrutto un patrimonio e un sogno facendo volare la squadra in serie B. "Sono sempre i soliti cinquanta ultrà manovrati da qualcuno a contestarmi" diceva sempre l'ex senatore, scacciando via con fastidio la sua presunta impopolarità. E invece Firenze è scesa in piazza. Un lungo corteo, col sindaco Domenici in testa accanto al regista di Quelli che il calcio, Paolo Beldì, al tecnico della Rari Nantes Tempestini, a Giovanni Galli e all'ex ministro Barucci, che nei mesi scorsi ha tentato di trattare l'acquisto della Fiorentina per conto di una cordata del Nord. E poi gente della curva, signore attempate con la loro sciarpa viola al collo, tifosi di vecchia data e bambini tenuti per mano dalla mamma. Il corteo è arrivato in piazza della Signoria accolto dagli sbandieratori del calcio in costume. Ci sono tifosi arrivati dal Piemonte, da Gorizia, da Catania. Sono arrivati anche rappresentanti dei viola club di New York e San Francisco. "C'è tanta gente più di quanto si potesse pensare. Oggi per Firenze è un punto di partenza. Spero che le idee che ho lanciato (azionariato popolare ndr) possano andare avanti" dice Domenici, mentre la piazza intona l'inno la Fiorentina guidata dalla voce di Narciso Parigi. (19 aprile 2002)

Da Repubblica del 5 maggio 2006
Fino al 23 giugno a Firenze la consueta rassegna musicale Quest'anno a causa dei tagli unica opera in cartellone è "Falstaff" Il Maggio Musicale festeggia Mehta ricordando Visconti e la Callas Per il regista una mostra a Palazzo Pitti, per la grande cantante l'omaggio di Hoffmann affidato alla Compagnia MaggioDanza di ROSARIA AMATO Zubin Metha al suo concerto 'di compleanno' a Firenze il 20 aprile ROMA - Decimato dai tagli, e reduce dal commissariamento che si è concluso, pochi mesi fa, con la nomina del nuovo sovrintendente Francesco Giambrone, il Maggio Musicale Fiorentino dopo il concerto d'inaugurazione del 30 aprile, diretto da Daniele Gatti, entra nel vivo con l'unica opera rimasta in cartellone (le altre due, Salome di Strauss e Il Naso di Sostakovich, sono state cancellate): l'atteso Falstaff di Giuseppe Verdi, nuovo allestimento diretto da Zubin Mehta e con la regia di Luca Ronconi; tra gli interpreti Ruggero Raimondi, Barbara Frittoli e Bernadette Manca di Nissa. Il debutto il 12 maggio, repliche il 14, 16, 18 e 19, ma sono previste anche due conferenze di presentazione dello spettacolo: il 9 alle 18 un incontro dal titolo "Presentazione di Falstaff", e il 10 alle 21 "La fortuna di un 'pancione' da Salieri a Verdi, a Vaughan-Williams". Nel presentare l'opera alla stampa, Ronconi, al suo secondo Falstaff (il primo è stato per Salisburgo nel 1993, dirigeva Georg Solti), ha spiegato che "Qui non siamo di fronte a un'opera legata a doppio filo ad epoche e temperature storiche precise e inderogabili, come Aida e Otello: a ben vedere i personaggi ci somigliano molto, potremmo essere noi, oggi, come attuale è lo spasmodico desiderio di ringiovanimento erotico del protagonista, su cui si focalizza il desiderio di raggiro (o di vendetta) di un gruppo di signore che non si capisce se siano più allegre, come diceva il titolo shakespiriano, o più ciniche, come invece appare a noi. Da qui, dunque, l'idea di rinunciare all'ambientazione elisabettiana, che invece, rispettai nell'allestimento di Salisburgo, e di preferire costumi con evidenti riferimenti all'oggi". Se Falstaff è l'appuntamento più importante del Maggio Musicale Fiorentino, ce ne sono però altri di grande interesse. A cominciare dagli altri due dei quali sarà protagonista Mehta, che ha appena festeggiato i suoi 70 anni e i 50 anni di carriera e cioè il 24 concerto con musiche di Webern, Mozart e la Prima Sinfonia di Brahms, il 28 la Patetica di Cajkovskij e la sinfonia Kaddish di Leonard Bernstein, nella quale la voce recitante sarà il figlio del direttore indiano, Mervon. In effetti anche la presenza di Mervon Mehta, 41 anni, canadese di nascita, poliedrico artista che si divide tra America ed Europa, vuole essere un regalo di compleanno al padre. Che quest'anno è stato festeggiato in tutto il mondo, e anche Firenze non ha voluto essere da meno, dal momento che Zubin Mehta è direttore principale dell'orchestra del Maggio dal 1985. Mehta ha inoltre diretto un concerto di 'preapertura' del festival il 20 aprile, e nello stesso giorno è stata inaugurata la mostra dedicata alla sua carriera e allestita al Teatro Comunale, che rimarrà aperta fino all'11 giugno. L'altra grande mostra del festival è quella su "Luchino Visconti al Maggio", nel centenario della nascita, dal 17 giugno al 16 luglio alla Galleria Moderna di Palazzo Pitti, che documenta le due storiche regie per Troilo e Cressida di Shakespeare del 1949, al Giardino di Boboli, e Egmont di Goethe nel 1967 nel Cortile di Palazzo Pitti. Il festival propone anche un omaggio a Maria Callas, nell'omonimo spettacolo del Tanztheater che Reinhild Hoffmann affida però questa volta alla Compagnia di Ballo MaggioDanza, dall'8 al 13 giugno. In programma poi anche la New York Philarmonic Orchestra guidata da Lorin Maazel (l'11 giugno), mentre sono dedicate a Mozart la Maratona pianistica in programma l'11 maggio, e i concerti previsti in varie date al Piccolo Teatro con la direzione di Federico Maria Sardelli, Antonello Manacorda, Carlo Montanaro e Giuseppe Mega. Gran finale in Piazza Duomo, sotto il Campanile di Giotto, il 23 giugno, dove Ivor Bolton dirigerà due lavori giovanili di Mozart e la Messa Solenne 'Per l'incoronazione di Luigi XVIII' di Luigi Cherubini. Informazioni allo 055 2779350, tutti i giorni dalle 10 alle 18, oppure sul sito del Maggio Fiorentino. (5 maggio 2006)

Da Repubblica del 18/05/2006
IL RINASCIMENTO I tesori di Raffaello La galleria Borghese di Roma ospita una monografica dedicata a Raffaello curata da Anna Coliva che presenta 24 dipinti e 26 disegni. Capolavori celeberrimi come La Fornarina e opere mai prestate all'Italia come la "Belle Jardinière" del Louvre Roma - Tanto tuonò che fu Raffaello. Una mostra a Roma su Raffaello, pittore "romano" per eccellenza dei Palazzi Vaticani, era attesa (e rimandata) da anni. E intanto a Palazzo Barberini si portava a termine il primo restauro moderno della "Fornarina" che rassicurava sull'intera autografia. E alla Galleria Borghese l'intervento altrettanto completo sulla "Deposizione Baglioni". E fra 2004-2005, a Londra, National Gallery, si faceva una grande mostra sul Raffaello giovane. A Città di Castello è in corso fino all'11 giugno una mostra-dossier sulle prime opere umbre di Raffaello in cui si scopre che, neppure diciottenne, si firmava in un contratto "magister Raphael". Ed ecco finalmente a Roma la mostra sul Raffaello che si è preparato a diventare "romano". Dove preparato? A Firenze naturalmente, ma questa volta da Firenze non uscirà un grande maestro fiorentino, ma il pittore che a < a href ="http://roma.italia123.it" target ="_blank">Roma "con geniale sintesi formale stabilisce una volta per sempre l'immagine stessa della dottrina, traduce i contenuti religiosi in immagini di tale forza che da allora l'intera civiltà occidentale si confronterà o si scontrerà con essi. E' una iconografia che non è più mutata sino ai nostri giorni". Una lingua universale estratta da un mondo perfettamente naturale, completamente armonico, ma una lingua che Raffaello si è conquistato con fatica, un superamento alla volta. Dunque "Raffaello da Firenze a Roma", negli anni fra il 1505 e il 1508, alla Galleria Borghese (dal 19 maggio al 27 agosto) perché qui è conservata la "Deposizione Baglioni" terminata da Raffaello nel 1507 e considerata la base "per quel rivoluzionario passaggio dalla struttura compositiva tradizionale alla concezione dinamica dello spazio" che si compirà negli affreschi delle "Stanze" in Vaticano per Giulio II. Dalle Madonne e Bambino, dalle Madonne, Bambino e San Giovannino, dai ritratti per i ricchi borghesi di Firenze, alla pittura della grande storia in movimento nello spazio, assimilando e facendo proprie le rivoluzioni di Leonardo e Michelangelo lui che era partito dalla perfezione formale, fredda se non senza anima del Perugino, del Pintoricchio e dal dinamismo di Luca Signorelli. Il periodo fiorentino serve a Raffaello ad accumulare "il più possibile di materiale e di idee" per "farli fruttificare più tardi, a Roma". I termini accettati per delimitare in via indicativa gli anni a Firenze sono due. La lettera scritta nell'ottobre 1504 da Giovanna Feltri a della Rovere a Pier Soderini, governatore di Firenze, che presenta in modo affettuosissimo Raffaello desideroso di imparare e quindi di stabilirsi in modo permanente (o quasi) a Firenze: una lettera che non portò alcun lavoro al ventunenne artista che dimostrò di non averne bisogno. Raffaello aveva una tale fregola di andare ad immergersi in Leonardo e Michelangelo, che a Perugia lasciò incompiuto l'affresco per il monastero di San Severo (terminato 17 anni dopo, nel 1521, dal Perugino: questi sì che erano delle star). Per terminare, il pagamento per "pitture nella camera di mezzo" (la "stanza della Segnatura") nel gennaio 1509. Con tutta probabilità Raffaello era a Roma dall'autunno 1508. I Raffaello superstiti della collezione Borghese sono tre, ma in mostra sono 22 (e per alcuni è un "ritorno a casa"). Questo significa che il soprintendente Claudio Strinati, responsabile del polo museale romano, e Anna Coliva, direttrice della Borghese e curatrice della mostra, hanno assediato i più importanti musei del mondo per portare a Roma un simile campionario (catalogo Skira). Con un valore aggiunto che è uno dei punti di forza della mostra: 27 fra disegni e studi (solo tre dall'Italia), importantissimi per la produzione pittorica di Raffaello con sorprese anche per la "Deposizione". Fanno da complemento o approfondimento dei dipinti o ne alleggeriscono la mancanza mentre hanno appesantito il valore assicurativo corrispondente ad oltre un miliardo di euro (un primato di cui gli organizzatori MondoMostre e gli sponsor avrebbero fatto volentieri a meno). Ci sono anche una decina di dipinti di artisti contemporanei di Raffaello, dalla collezione della Borghese: un "San Sebastiano" attribuito al Perugino, il maestro di Raffaello, ha terminato da pochi giorni il restauro nelle mani di Elisabetta Zatti. Al centro della mostra è una specie di doppio shock: La "Deposizione Baglioni" che abbiamo sempre visto capolavoro isolato, unica grande tavola di 1,84 per 1,76, con la cornice adatta ad un quadro di simili dimensioni (qualcuno ha detto "un quadro incorniciato dispendiosamente"), non è più sola. La pala ha accanto la cimasa rettangolare con l'Eterno benedicente e angeli, i tre pannelli della predella con le virtù teologali e il fregio con putti e grifoni. Insomma come la "pala Baglioni" era al completo, fino alla notte fra il 18 e il 19 marzo 1608 quando gli emissari del cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, portarono a termine uno dei primi furti d'arte su commissione, nella sacrestia di San Francesco in Prato a Perugia, "spacchettando" l'opera e lasciando quello che al cardinale non interessava. Superato il primo shock, si ha appena il tempo di gioire per la presenza di 11 disegni sui 16 che si conoscono come studi preparatori della pala, quando ci si accorge che Raffaello aveva in mente una celebre opera del Perugino e pensava a un tradizionale, statico "Compianto sul Cristo". Dal quale poi si è distaccato perché l'esperienza fiorentina già "mordeva" e il cartone fu infatti impostato a Firenze. Il pittore lavorò sulla pala fra 1505 e 1507 come risulta dalla data e firma dipinte in basso a sinistra anche se non sappiamo - avverte Claudio Strinati - per quanto tempo effettivamente vi lavorò e le date apposte da Raffaello sono a volte smentite da circostanze oggettive. Questa trasformazione avvenne "con un'elaborazione faticosa e incessante" - osserva Anna Coliva - come testimoniano appunto i disegni. I Raffaello in mostra sono notissimi (alcuni spesso in viaggio, come "Ritratto di uomo" e la "Madonna Esterhazy" entrambi dal Museo di Belle Arti di Budapest), ma vederli tutti insieme e in compagnia dei disegni (testimonianza a volte di faticose elaborazioni), danno una emozione fortissima. Per la prima volta il Louvre ha fatto uscire "La Belle Jardinière" che fu acquistata a Siena per il re di Francia Francesco I (accanto ha il grande cartone ad olio della National Gallery di Washington): è una piramidale, leonardesca, composizione plastica formata dalla Madonna in ginocchio in un prato, che, con una espressione pensierosa, cerca di trattenere un irrequieto Bambino con a fianco San Giovannino. Per Anna Coliva è la "più perfetta" delle tre Madonne fiorentine di identica composizione, con la quale Raffaello portò a termine la faticosa conquista del "concetto architettonico e spaziale della cupola in quanto semisfera che racchiude una porzione di spazio" attraverso il "succedersi delle curve" che coinvolge anche la centinatura della tavola. Il "continuo rimandarsi di forme sferiche permette una diffusione uniforme della luce e conferisce chiarore espanso ai volumi". L'unica stonatura è quel titolo di "Jardinière" che sa tanto di menefreghismo francese sui temi religiosi. Da Berlino è arrivata la "Madonna Colonna". La "Sacra Famiglia con l'agnello" dal Prado. Dalla National Gallery di Londra la "Madonna Aldobrandini" col Bambino e San Giovannino (con quattro studi, due a punta metallica che era una specializzazione di Raffaello grafico) e il "Sogno del cavaliere" (una tavolettina di 17 per 17 centimetri, l'unica allegoria profana dipinta da Raffaello, negli anni in cui frequentò a lungo la raffinata corte di Urbino). Da Baltimora, Walters Art Museum, la "Madonna dei Candelabri", il "Ritratto virile" da Vienna, Museo Liechtenstein. Della Galleria di Palazzo Barberini c'è la "Fornarina" (datata al 1518-19, a pochissima distanza dalla morte di Raffaello nel 1520, sei aprile, lo stesso giorno della nascita nel 1483). L'unica icona femminile che possa rivaleggiare con la "Gioconda" di Leonardo. Il restauro del 2000 (diretto da Lorenza Mochi Onori) ha tolto i dubbi: il ritratto è tutto di mano di Raffaello e sullo sfondo non ci sono stati interventi di Giulio Romano, l'allievo prediletto, l'erede, come si riteneva. E i risultati della pulitura sono stati eccezionali. Enigmatica la "Fornarina" con tutte le bellissime storie romantiche, enigmatica la "Dama con liocorno", ritratto fiorentino della Borghese: non si sa chi sia (dopo che era stata camuffata fino al 1935 come Santa Caterina d'Alessandria con ruota dentata al posto del liocorno, simbolo di verginità) e non è chiaro di come sia entrata nella collezione. Anna Coliva tenta una "analisi assolutamente empirica" come il confronto fisiognomico con il ritratto a Palazzo Pitti, sempre opera di Raffaello, di Maddalena Doni. Confronto non omogeneo per il "grande realismo", per nulla leonardesco, in cui è raffigurata una esponente della ricca borghesia fiorentina di inizio Cinquecento (suo marito Agnolo è quello che commissionò a Michelangelo il celeberrimo "tondo Doni") , rispetto "all'evanescenza sublimata della 'Dama con liocorno'", così "angelicamente bionda". E la conclusione è che fra le due dame c'è una somiglianza troppo marcata di dati fisiognomici. In più l'analogia dello "stupefacente pendente" (che vale una fortuna e con perle di estrema rarità) che "non ha altro confronto, per ostentazione e dimensioni, nella ritrattistica di Raffaello". Con il restauro, diretto da Kristina Herrmann Fiore, alla "Deposizione" è stato tolto il "sudario", la vernice alterata che la rendeva giallognola annullando i particolari. Si sono rivelati colori anche dai toni freddi mentre "prima tutta la superficie era resa soffusa, morbida dalla sporcizia. Tutta la scena ha riconquistato profondità e incisività". I colori sono tornati, brillanti e sfumati, rosso vivo dove era diventato marrone; dove l'incarnato del corpo del Cristo appena tolto dalla Croce è ben diverso dalla mano della Maddalena che lo sostiene; il volto della Madonna svenuta ben diverso dai volti e delle braccia protese delle pie donne; dove si tornano ad ammirare le vene e i muscoli dei due personaggi che con fatica trasportano il Cristo. Adesso i colori sprizzano luce. Il bianco del lenzuolo col quale è trasportato il corpo e che va quasi come un mantello sulla spalla del primo portatore a sinistra, di cui si ammira il blu cangiante della blusa. E che contrasta col rosso lacca della veste di San Giovanni (per il quale Raffaello ha usato vetro macinato per aumentare la brillantezza, come faceva il Perugino), e l'azzurro della blusa. E il giallo oro del manto di San Pietro. Al centro, ancora azzurri diversi e rossi diversi della veste della Maddalena. A destra il gruppo della Madonna dal volto terreo e dalla veste color prugna, e delle tre pie donne piangenti (ed ora si vedono le lacrime che si staccano dagli occhi). Le maggiori cure di Raffaello sono andate alla donna seduta che sostiene la Vergine, le braccia nude distese nello sforzo, la delicatissima blusa dorata dalle tante pieghe e il mantello, ancora di un altro blu, con la fodera rossa che sembra inamidata. Le rocce sono tornate taglienti, non più arrotondate dallo sporco. Si gustano nei particolari la vegetazione, le erbette, quella sfera bianca dei semi del tarassaco, che formano la base della pala. La "Deposizione" è più esattamente il "Trasporto di Cristo al sepolcro" perché questa è l'azione che stanno compiendo i due gruppi di persone disposti come una grande "V" dall'andamento dinamico, ad uscire, anche se Raffaello ebbe ancora un sussulto, quello di riempire il centro della "V" con una figura poi sostituita da un paesaggio, come hanno rivelato le indagini del 1995. Secondo quanto riferito dal Vasari la pala fu commissionata a Raffaello da Atalanta Baglioni per la cappella di famiglia, non per ricordare l'uccisione del figlio Grifonetto (e del marito Grifone) che sarebbe ritratto come il primo portatore di Cristo, al centro, dal profilo imperioso e dalla corta veste di verde brillante. Ma la storia di Grifonetto era troppo bella perché l'Ottocento se la lasciasse sfuggire e tuttora resiste come un sempreverde. Grifonetto trafitto in piazza nel luglio 1500, una delle vittime della mattanza di quegli anni che nulla rispettava fra le grandi famiglie di Perugia. Era stato maledetto dalla madre perché aveva partecipato ad una congiura contro la propria famiglia, ma vedendolo morente Atalanta lo perdona e gli fa perdonare chi era stato all'origine della faida. Per Anna Coliva questa è "'la più grande e la più bella tra le pale d'altare che l'hanno preceduta', ed è anche la più complessa composizione eseguita da Raffaello prima delle "Stanze", la "prima rappresentazione in forma di pala d'altare che mostri il corpo di Cristo trasportato alla tomba, soggetto riservato sinora alle predelle o agli affreschi". Il movimento complessivo "parte dall'interno di ciascuno dei corpi, dal loro epicentro, che non è più quello della composizione, coincidente cioè con il punto di fuga prospettico; il movimento ha origine dall'interno". La "Deposizione Borghese" "costituisce il superamento" della tradizionale pala d'altare, non è più "statico oggetto di contemplazione". Raffaello ha tolto le tavole ai lati e le figure ai lati dell'immagine centrale che avevano il "compito di guidare lo sguardo verso il fulcro prospettico in cui era collocato l'oggetto della contemplazione". La pala ha in sé tutti i motivi di vibrazione e di attrazione. La "Deposizione" è ancora una pala di più pezzi, ma molto semplificata. La cimasa raffigura il Dio Padre benedicente (che come dipinto viene attribuito a Domenico Alfani, amico e rappresentante di Raffaello a Perugia, che nel 1508 dovette andare a sollecitare ad Atalanta Baglioni il saldo della pala). La predella è formata da tre tavolette con una iconografia del tutto insolita rispetto alla pala quattrocentesca. Figure isolate (angioletti e "Fede", "Speranza" e "Carità", le tre virtù teologali) che, anche qui contrariamente alla tradizione figurativa delle predelle, non hanno funzione narrativa. Ad aumentare il carattere simbolico sono dipinte in monocromo: "uno sfondo verde opaco dal quale emergono figure di un bianco eburneo". La cimasa è finita a Perugia, Galleria nazionale dell'Umbria, la predella alla Pinacoteca Vaticana (recuperata dopo un "giro" a Parigi). Come è noto, Scipione Borghese, per rappattumare il misfatto e non lasciare del tutto sbeffeggiata la popolazione di Perugia in rivolta, fece fare due copie della pala (al Cavalier d'Arpino e al Lanfranco). Per alcuni Raffaello la mostra alla Borghese non è solo una trasferta, ma appunto un "ritorno a casa". Se infatti, come ci ricorda in catalogo Marina Minozzi, il numero di 44 opere di Raffaello in collezione Borghese era certamente basato più su "una tenue indicazione di carattere formale" che "un effettivo riconoscimento di autografia" o dati riconoscibili, il nucleo dei Raffaello ha fatto della collezione, per oltre due secoli, una delle più frequentate mete dei visitatori di Roma. Una collezione non vietata se nel 1777 uno di questi visitatori racconta di come sia stato normale per un custode, "dietro compenso di una piccola mancia", consegnare "un indice di tutti i pezzi visibili nelle sale". Un "lodevole uso" che non valeva per tutti gli altri palazzi romani. Alla Borghese, villa Pinciana (nel tempo i dipinti sono stati sistemati anche nel palazzo a Campo Marzio, con denominazioni dei vari apporti ereditari), sono tornati il "Sogno del cavaliere" e la "Madonna Aldobrandini", la "Madonna dei Candelabri" che appartiene al nucleo più antico della collezione Borghese e vi rimase fino ai primi dell'Ottocento (poi nella collezione di Luciano Bonaparte). Sono state "trattenute all'estero", alla National Gallery di Londra, la bella "Santa Caterina" che il principe Borghese aveva collocato sopra una porta (in mostra uno studio); a Chantilly, Museo Condé, la "Madonna del velo" (ci sono tre disegni) e "Le tre Grazie", la tavolettina importante perché forse forma un dittico col "Sogno del cavaliere". Non sempre si riesce a identificare le opere nei vari inventari a causa delle indicazioni scarse o troppo elementari. Ad ogni modo altri dipinti possono essere individuati. Dopo il furto della "Deposizione" (trasportata nel palazzo di Borgo), in estate Scipione Borghese entra in possesso della collezione del cardinale Sfondrato, acquisendo nel mucchio il "Ritratto di Giulio II" già in Santa Maria del Popolo (ora a Londra, National Gallery), e la "Madonna del velo". Ancora in Galleria sono le copie del San Giovanni Battista e forse della "Madonna d'Alba" (che fino al XVII secolo era a Nocera, nella chiesa degli Olivetani, per poi fare il giro del mondo delle collezioni e finire alla National Gallery di Washington). Ancora alla Borghese, nei depositi, sono due tavolette con l'allegoria della Speranza e della Carità suo pendant (che sembrano le stesse descritte ai lati del "Sogno del cavaliere"). Altri tre dipinti "stimati di Raffaello" sono un "Christo con la Croce su le spalle, della prima maniera", nella cappella, e due tondi raffiguranti la "Madonna con Cristo e San Giovanni": uno - osserva Marina Minozzi - è forse la copia della "Madonna d'Alba". Ancora, il cosiddetto doppio ritratto del Cardinal Borgia e il Machiavelli (a Londra, National Gallery), il presunto "Autoritratto", il cosiddetto ritratto di Cesare Borgia (a Parigi, collezione Rothschild). Intanto a Roma si avvicinava il "ciclone napoleonico" e in circa tre anni, dal 1797, le "maggiori collezioni storiche della città subirono un drammatico depauperamento, determinato dalle acquisizioni francesi e da vendite forzate o precipitose" per far fronte a tasse e "contributi". Nella descrizione di Giuseppe Vasi del 1804, se la villa Borghese era "ancora nello splendore dell'allestimento settecentesco" (ancora per pochi anni con le sculture), il palazzo "appare invece già depauperato di molti dei suoi capolavori pittorici e le opere di Raffaello sono praticamente scomparse dalle sale". Camillo Borghese acquisterà poi, e sono ancora nella Galleria, la copia del "Ritratto di Giulio II" e la "Madonna con il Bambino" dipinta dal Sassoferrato sul modello della "Madonna della torre", "nel tentativo di restituire almeno una lontana eco dei perduti capolavori di Raffaello". Goffredo Silvestri Notizie utili - "Raffaello. Da Firenze a Roma". Dal 19 maggio al 27 agosto. Roma. Galleria Borghese. Promossa dalla soprintendenza speciale per il polo museale romano per il progetto "Dieci grandi mostre 2006-2015". Direzione scientifica soprintendente Claudio Strinati e Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese. A cura di Anna Coliva. Catalogo Skira. Main sponsor Enel, Compagnia di San Paolo, Sisal. Organizzazione MondoMostre. Orari: dal martedì alla domenica 9-19; chiuso lunedì. Biglietti: intero 10,50 euro, unico per mostra e Galleria Borghese, più diritto di prevendita. Prenotazione obbligatoria 06-32810; prenotazione internet: www.ticketteria.it Servizio didattico 06 841397; fax 06-8840756 serveducpoloromano@virgilio. it (18 maggio 2006)

Da Il Sole 24 Ore del 26/06/2006
23 giugno 2006 Suttermans, il fiammingo più amato dal Granduca di Francesco Prisco Come tutti i fiamminghi seppe coniugare nei suoi ritratti la cura per la rappresentazione naturalistica ad un’insolita raffinatezza esecutiva. Come pochi altri eletti, nel corso del Seicento, girò per le principali corti europee guadagnandosi, grazie alla rara sapienza tecnica, il favore di alcuni dei sovrani più rappresentativi sino a trovare a Firenze, in quella che era stata la culla del Rinascimento, presso i Medici, la famiglia che due secoli prima aveva acceso quella irripetibile stagione di rinnovamento, la destinazione definitiva della sua carriera pittorica. Giusto Suttermans di Anversa in vita fu fortunato, come lo è ogni artista che vede riconosciute dai contemporanei le proprie doti. Nel 1678, tre anni prima del suo decesso, il granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici gli rese un onore unico, riunendo buona parte delle sue opere nel salone di udienza del defunto cardinale Leopoldo de’ Medici al secondo piano di Palazzo Pitti, «per farne – come ebbe a scrivere il biografo Filippo Baldinucci - un’intera e grande galleria». Non è da tutti vedere i propri dipinti raccolti insieme a poche decine di metri da capolavori ineguagliabili come la “Madonna della seggiola” di Raffaello Sanzio. Sulla scia di questa prima particolarissima personale del fiammingo, fino al 22 ottobre nella Sala Bianca della Galleria Palatina del capoluogo toscano si tiene la mostra “Un Granduca e il suo ritrattista – Cosimo III de’ Medici e la Stanza de’ quadri di Giusto Suttermans”, a cura di Lisa Goldenberg Stoppato che ha ricostruito scientificamente l’esposizione del 1678. La notizia di una sala di Palazzo Pitti interamente allestita con quadri di Suttermans trova conferma in un quaderno della Guardaroba generale, l’ente che amministrava i beni mobili del granduca, che ricorda sei ritratti di mano del pittore fiammingo inviati il 28 febbraio 1678 al guardarobiere del plesso mediceo Diacinto Maria Marmi, per la cosiddetta «Stanza de’ quadri di Giusto Sutterman nell’appartamento del defunto cardinale». Tra questi figurano i ritratti del principe Valdemar Kristian di Danimarca, dello zio di Cosimo III Mattias de’ Medici, di suo fratello Francesco Maria de’ Medici e di suo figlio Gran principe Ferdinando de’ Medici. Ma c’è anche un’ulteriore traccia dei preparativi per la mostra in onore del fiammingo. Si tratta di una nota manoscritta che censisce le opere disponibili per l’allestimento, compilata probabilmente da Baldinucci e conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze nella raccolta di “Notizie di vite e opere di diversi pittori”, donata da Anton Francesco Marmi nel 1731. La nota, illustrata da due schizzi con quadri disposti su una parete, elenca trentanove dipinti, raggruppandoli per luogo di collocazione, tra cui cinque delle opere citate nel documento del 1678. Pure importante ai fini della ricostruzione della mostra allestita nel 1678 è stato l’inventario di Palazzo Pitti stilato dieci anni più tardi (ai primi del 1688) e conservato all’Archivio di Stato di Firenze. L’inventario ricorda in un appartamento al secondo piano, «nella terza stanza che segue con finestra e porta sul ballatoio», quattro dei sei ritratti inviati nel 1678 dalla Guardaroba generale alla reggia, altri ventiquattro dipinti esplicitamente attribuiti a “Giusto Suttermanni”, un ritratto di Galileo Galilei e quello di Charles I Stuart con la moglie Henriette Marie de Bourbon, eseguito da un seguace di Antonie Van Dyck e, secondo un inedito documento, ritoccato da Suttermans nel 1675. Da queste testimonianze si è mossa la Goldenberg Stoppato per allestire la personale: ben ventidue dei dipinti citati sono stati identificati. Di questi, venti costituiscono il percorso della nuova esposizione. Mancano, pur essendo presenti nel catalogo, soltanto il ritratto di Valdemar Kristian di Danimarca della Galleria Palatina, in prestito alla mostra “Specchio del Tempo” a Rouen, e quello di Mattias de’ Medici, un tempo parte della collezione Crespi, del quale non è nota l’attuale ubicazione. L’esposizione fiorentina è un viaggio, oltre che nell’iconografia, anche nel gusto per gli allestimenti del Diciassettesimo secolo. «La mostra organizzata in onore di Giusto Suttermans nel 1678 - spiega infatti la Goldenberg Stoppato - potrebbe essere considerata un precedente assai precoce delle rassegne monografiche odierne». Senza dimenticare comunque che «l’onore accordato dal granduca al ritrattista fu in ogni caso di natura eccezionale. Non possiamo che giudicare questo tributo, usando le parole di Filippo Baldinucci, come un “concetto veramente nobilissimo”». “Un Granduca e il suo ritrattista – Cosimo III de’ Medici e la Stanza de’ quadri di Giusto Suttermans” Firenze, Galleria Palatina, Sala Bianca, Dal 16 giugno al 22 ottobre A cura di Lisa Goldenberg Stoppato Orari: martedì – domenica 8.15 – 18.50. Lunedì chiuso Biglietti: intero euro 8.50, ridotto euro 4.25 Catalogo: Sillabe Per informazioni: 0552654321 www.palazzopitti.it


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